
MANCA LA FEDE O MANCA LA RAGIONE?
Recentemente il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha indicato che uno dei mali dell’Europa non è aver perso la fede bensì aver perso la ragione. Un ascoltatore sciocco potrebbe sorprendersi e chiedersi cosa interessi ad un uomo di religione tutto ciò… non basta, all’eminente cardinale, che le persone “credano”? Ma cosa significa “credere”? Sembrerebbe un controsenso ma è proprio la ragione a dirci cosa sia la fede. Essa è l’atteggiamento di chi decide quale senso dare alla sua esistenza: anche vivere da non credenti in Dio è un rischio che riguarda la fede, si decide di vivere per qualcos’altro. Troppe volte si cita l’episodio dell’incredulità di San Tommaso come un capriccio di diffidenza: “Non crede se non mette il naso”. Quante volte i sacerdoti sentono usare questo esempio come una spiritosa difesa da parte di chi non vuole coinvolgersi in una proposta di fede! Evidentemente non è chiara la posta in gioco: non è chiara alla ragione di chi ascolta. Tommaso era una persona che nel seguire Gesù aveva giocato i suoi affetti, i suoi ideali, la sua giovinezza – gli apostoli erano un gruppo di ventenni e trentenni, probabilmente. La morte di Gesù aveva gettato nello sconforto, nella disperazione, tutti coloro che, come Tommaso, avevano fatto questa scelta di trascorrere diversi mesi nella esaltante esperienza del discepolato itinerante assieme a Gesù. Quando si rimane profondamente delusi è ben difficile tornare ad aprirsi alle buone notizie, specialmente così inverosimili come la risurrezione di un morto. Ma c’è di più: a volte delle tristi certezze sono più rassicuranti delle gioiose speranze: ci vuole co raggio ad aprirsi e a rischiare, ci vuole coraggio anche ad uscire dal dolore e dalla solitudine. Per piacere: non dipingiamo il Santo apostolo Tommaso come un banale scettico da salotto. Chi pensa di poter fare superficialmente l’incredulo in realtà è una persona che pensa di poter bastare a se stesso, di potersi dare da solo ciò di cui ha bisogno per essere felice, o almeno di continuare a provarci. In questo tempo di precarietà della salute e della vita materiale appare con ancora maggiore forza che decidere di non credere è un lusso che ben pochi possono permettersi, probabilmente nessuno. Per chi ha qualche ricordo della filosofia del Liceo può tornare utile Pascal: chi decide di non credere in Dio e in Gesù risorto, anche se pensa di stare in una posizione neutra, sta scommettendo, si sta giocando su questa ipotesi le cose più importanti della sua vita. Al pari di Tommaso che ha deciso di credere in Gesù: e per una persona che ha rischiato la sua vita su Cristo, la notizia della risurrezione è troppo grande per scivolare via leggera. A noi in questo tempo di Pasqua, in questo tempo di precarietà viene domandato con forza: cosa significa per te credere? Non accontentiamoci di risposte preconfezionate. Andiamo al cuore della nostra esperienza di uomini e di donne che vogliono fare spazio nella loro vita alla gioia e alla speranza che viene dal Vangelo. Andiamoci con la ragione, con l’esperienza di vita, con il ricordo di tutte le persone che ci hanno fatto del bene e che ci hanno testimoniato che l’amore di Gesù Risorto è più grande di ogni male.
Tratto da “L’eco di Asseggiano” n. 1604, www.parrocchiasseggiano.it